Come può un paesaggio essere “incompiuto”? Come può uno sguardo inciampare? Come possiamo “cercare”, e forse “trovare”, il paesaggio, laddove sembra che l’opera dell’uomo ci consegni solo un gesto interrotto, una slabbratura, una assenza d’opera?
Queste domande sorgono immediatamente alla mente osservando le bellissime fotografie di Mauro Fontana. Si tratta di scatti realizzati in Calabria, nell’area interna Grecanica, durante l’estate del 2020. Scatti che ci sollecitano a pensare il paesaggio non (solo) come un orizzonte compiuto, arrotondato dal sentimento del sublime.
Piuttosto, le fotografie di Mauro Fontana ci invitano a pensare a un paesaggio a venire, possibilità interrotta dalle resistenze e dagli spigoli delle case non finite, la sola armatura che si erge mettendo sullo sfondo il mare e la collina, e delle infrastrutture abbandonate in cemento armato che sprofondano nel nulla di senso.
Eppure, gli scatti di questa Calabria dolente e onestamente brutta indicano una via allo sguardo pensante, offrendo la sollecitazione a osservare le cose per quel che sono, a scorgere, per usare l’espressione meravigliosa di Wallace Stevens, “the plain sense of things”.
Nessuna estetizzazione, dunque, e tuttavia nessuna denegazione. La Grecanica calabrese, per quel che è, esito della speculazione, dell’incuria, di un’incultura progettuale che sgomenta e della mancanza di un efficace governo del territorio. Ma anche una terra, un cielo, il mare e le colline. L’incompiuto e quel che da sempre si è compiuto, non come sfondo ma come luogo più proprio dell’abitare dei mortali su questa terra, sotto questo cielo.
Le foto di mauro Fontana per me alludono a tutto questo, e proprio per questo ci consegnano un compito per lo sguardo e per il pensiero.
Testo di Gabriele Pasqui